La scommessa delle Americhe.

Il futuro dell’America Latina.

«La scommessa delle Americhe. Viaggio nel futuro dell’America Latina: bandiere rosse, bandiere rosa» 2007
di Maurizio Chierici

La scommessa delle Americhe. Viaggio nel futuro dell’America Latina: bandiere rosse, bandiere rosa

Maurizio Chierici (Author)

La scommessa delle Americhe. Viaggio nel futuro dell'America Latina: bandiere rosse, bandiere rosa
In America Latina sembra finito il sonno tormentato dagli incubi. Dopo le elezioni del 2006 le bandiere sono cambiate ma l’adolescenza della democrazia non ha sciolto le sue inquietudini. Continua la ricerca di un’identità che è stata definita da elezioni per la prima volta trasparenti: passo importante, ma solo un passo. Il merito è delle società che stanno cambiando: si affacciano nuovi protagonisti e movimenti comunitari, presenze inedite delle quali è ancora impossibile valutare il peso politico perché l’assenza degli Stati Uniti, distratti dalla dottrina Bush, non permette di individuare il futuro con ragionevole approssimazione.Quel sonno tormentato dagli incubi sembra finito. L’America Latina si sveglia e volta pagina. Dopo le elezioni del 2006 le bandiere sono cambiate ma l’adolescenza della democrazia non ha sciolto le sue inquietudini. Confermano le tendenze i paesi dai governi consolidati a destra e a sinistra – Brasile, Venezuela e Colombia -, mentre la realtà resta incerta in Ecuador e in Nicaragua. Messico e Perù sono in bilico tra immobilità ed evoluzione: annuncia instabilità la differenza impalpabile dei voti, che risentono dello sfinimento delle forze al potere. La destra messicana è condizionata dalle tragedie sociali che il neoliberismo continua ad aggravare e il nuovo presidente Calderón ripropone un paese latino ma anche nordamericano, vicino agli Stati Uniti nel barocco della cultura spagnola; doppio profilo tra convenienze che non sempre coincidono e i problemi che continuano. Il ritorno in Perù di Alan Garcìa tradisce le ambiguità che lo hanno costretto all’esilio; rieccolo con le promesse – fragili, fuori tempo – di una socialdemocrazia ispirata ai fallimenti dei suoi anni Ottanta. Intanto continua la ricerca di un’identità che è stata definita da elezioni per la prima volta trasparenti: passo importante, ma solo un passo. Il merito è delle società che stanno cambiando: si affacciano nuovi protagonisti e movimenti comunitari, presenze inedite delle quali è ancora impossibile valutare il peso politico perché l’assenza degli Stati Uniti, distratti dalla dottrina Bush, non permette di individuare il futuro con ragionevole approssimazione. Se tornano, cosa succede? L’ottimismo dello scrittore uruguayano Jorge Majfud, molto amato e premiato negli Stati Uniti dove insegna Letteratura spagnola all’Università della Georgia, alleggerisce la contrapposizione, ricordando l’ammirazione per gli Stati Uniti, nazione dove trovavano rifugio gli animatori del risorgimento antispagnolo. Nel 1897 la colonia stava svanendo e il sentimento per la «patria umiliata» si aggrappava all’esempio della democrazia di Washington, ma il Novecento rovescia gli umori: i Latini dimenticano le sofferenze dell’impero di Madrid e riscoprono «l’ispanità», pur rifiutando il conservatorismo autoritario franchista, mentre gli intellettuali diffidano ma non diffidano i governanti e la Chiesa ufficiale. La delusione dell’essere passati dalla vecchia colonia alla colonia ricomposta nell’«impero americano» riaccende la rivolta, che nel giudizio di Majfud è destinata a spegnersi: «Il XXI secolo risolverà il tragico conflitto tra l’antica democrazia rappresentativa, che tutela gli interessi delle classi e delle nazioni, e la nascente democrazia diretta, effetto della radicalizzazione, conseguenza di emarginazioni lasciate degenerare e ormai organizzate in strutture interculturali. A metà del nostro secolo la superpotenza sparirà, lasciando posto a contenitori geopolitici nei quali progressivamente confluiranno popoli e nuovi protagonisti. Ciò porterà a una diminuzione degli squilibri sociali, quindi delle incomprensioni che dividono le nazioni. Nell’America Latina unita cambieranno i sentimenti ostili verso gli Stati Uniti a partire dal 2030».
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Una definción de la guerra

Nicaragua is known as the land of lakes and vo...

Nicaragua

Hoy vi un documental de RTVE sobre Nicaragua. Erik Flakoll, el gringo de apodo Daniel Alegría, que participó en la revolución sandinista a principios de los ochenta, “sandinista pero no orteguista”, como se define, definió la guerra de una forma difícil de mejorar:

“La guerra la hacen jóvenes que no se conocen, no se odian y se matan. Y las dirigen viejos gordos que sí se conocen, sí se odian pero no se matan”.

Lo único que se podría corregir o discutir es sobre el sobrepeso de quienes dirigen las guerras. Lo demás no tiene forma de ser refutado sin hipocresía.

JM

¿Para qué sirve la literatura?

Jorge Majfud’s books at Amazon>>

À quoi sert la littérature ? (French)

What good is literature, anyway? (English)

¿Para qué sirve la literatura? (II)

¿Para qué sirve la literatura?

Estoy seguro que muchas veces habrán escuchado esa demoledora inquisición “¿Bueno, y para qué sirve la literatura?”, casi siempre en boca de algún pragmático hombre de negocios; o, peor, de algún Goering de turno, de esos semidioses que siempre esperan agazapados en los rincones de la historia, para en los momentos de mayor debilidad salvar a la patria y a la humanidad quemando libros y enseñando a ser hombres a los hombres. Y si uno es escritor, palo, ya que nada peor para una persona con complejos de inferioridad que la presencia cercana de alguien que escribe. Porque si bien es cierto que nuestro financial time ha hecho de la mayor parte de la literatura una competencia odiosa con la industria del divertimento, todavía queda en el inconsciente colectivo la idea de que un escritor es un subversivo, un aprendiz de brujo que anda por aquí y por allá metiendo el dedo en la llaga, diciendo inconveniencias, molestando como un niño travieso a la hora de la siesta. Y si algún valor tiene, de hecho lo es. ¿No ha sido ésa, acaso, la misión más profunda de toda la literatura de los últimos quinientos años? Por no remontarme a los antiguos griegos, ya a esta altura inalcanzables por un espíritu humano que, como un perro, finalmente se ha cansado de correr detrás del auto de su amo y ahora se deja arrastrar por la soga que lo une por el pescuezo.

Sin embargo, la literatura aún está ahí; molestando desde el arranque, ya que para decir sus verdades le basta con un lápiz y un papel. Su mayor valor seguirá siendo el mismo: el de no resignarse a la complacencia del pueblo ni a la tentación de la barbarie. Para todo eso están la política y la televisión. Por lo tanto, sí, podríamos decir que la literatura sirve para muchas cosas. Pero como sabemos que a nuestros inquisidores de turno los preocupa especialmente las utilidades y los beneficios, deberíamos recordarles que difícilmente un espíritu estrecho albergue una gran inteligencia. Una gran inteligencia en un espíritu estrecho tarde o temprano termina ahogándose. O se vuelve rencorosa y perversa. Pero, claro, una gran inteligencia, perversa y rencorosa, difícilmente pueda comprender esto. Mucho menos, entonces, cuando ni siquiera se trata de una gran inteligencia.

© Jorge Majfud

Montevideo

Diciembre de 2000

Litterae (Chile)

 

What good is literature, anyway?

I am sure that you have heard many times this loaded query: «Well, what good is literature, anyway?» almost always from a pragmatic businessman or, at worst, from a Goering of the day, one of those pseudo-demigods that are always hunched down in a corner of history, waiting for the worst moments of weakness in order to «save» the country and humankind by burning books and teaching men how to be «real» men. And, if one is a freethinking writer during such times, one gets a beating, because nothing is worse for a domineering man with an inferiority complex than being close to somebody who writes. Because if it is true that our financial times have turned most literature into a hateful contest with the leisure industry, the collective unconscious still retains the idea that a writer is an apprentice sorcerer going around touching sore spots, saying inconvenient truths, being a naughty child at naptime. And if his/her work has some value, in fact he/she is all that. Perhaps the deeper mission of literature during the last five centuries has been precisely those things. Not to mention the ancient Greeks, now unreachable for a contemporary human spirit that, as a running dog, has finally gotten exhausted and simply hangs by its neck behind its owner’s moving car.

However, literature is still there; being troublesome from the beginning, because to say its own truths it only needs a modest pen and a piece of paper. Its greatest value will continue to be the same: not to resign itself to the complacency of the people nor to the temptation of barbarism. Politics and television are for that.

Then, yes, we can say literature is good for many things. But, because we know that our inquisitors of the day are most interested in profits and benefits, we should remind them that a narrow spirit can hardly shelter a great intelligence. A great intelligence trapped within a narrow spirit sooner or later chokes. Or it becomes spiteful and vicious. But, of course, a great intelligence, spiteful and vicious, can hardly understand this. Much less, then, when it is not even a great intelligence.

© Jorge Majfud